29 Marzo, 2024

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Il massimo consumo d’ossigeno

Il massimo consumo d’ossigeno

10904458_10152519658992805_4340831820083549912_oIl massimo consumo d’ossigeno (VO2max) è una delle tre grandezze caratteristiche dell’atleta (le altre due sono la soglia anaerobica e la soglia aerobica). Ma cosa si intende esattamente quando parliamo di massimo consumo d’ossigeno? Per capirlo si consideri un soggetto che inizia a correre. Se parte da una condizione di riposo, si mettono in moto meccanismi energetici più rapidi di quelli aerobici (cioè quelli che utilizzano l’ossigeno) per sopperire all’iniziale carenza energetica, vista la lentezza dei meccanismi aerobici. Vengono usati meccanismi ATP-CP (creatinfosfati) e glicolisi (cioè carboidrati bruciati senza l’uso dell’ossigeno); dopo qualche minuto (da due a quattro a seconda dell’allenamento del soggetto) i meccanismi aerobici si sono adeguati alla richiesta energetica e inizia lo

stato d’equilibrio. Durante questo stato l’atleta consuma ossigeno e tale consumo è costante. Se lo sforzo aumenta (come si può rilevare facendo correre il soggetto su un tapis roulant con inclinazioni crescenti della pendenza) aumenta anche il consumo d’ossigeno. A un certo punto il meccanismo aerobico non sarà in grado di fornire l’energia richiesta e inizierà la produzione di acido lattico. Il consumo d’ossigeno dell’atleta aumenterà comunque ancora finché a un aumento della richiesta energetica non ci sarà più incremento: l’atleta ha raggiunto il massimo consumo d’ossigeno. Si verifica (Pèronnet) che l’atleta è in grado di prolungare lo sforzo in condizioni di VO2max per circa 7′ e che la situazione corrisponde a concentrazioni di lattato nel sangue che vanno da 5 a 8 mmol (convenzionalmente 6,5).

In termini più pratici:

il massimo consumo d’ossigeno corrisponde alla massima potenza aerobica.

Poiché il meccanismo lattacido (l’accumulo di acido lattico, non la produzione) inizia a una percentuale ben definita del massimo consumo d’ossigeno è chiaro che:

per aumentare le prestazioni di un fondista si può innalzare il massimo consumo d’ossigeno e/o la percentuale di esso alla quale si inizia ad accumulare acido lattico.

In alcuni casi, atleti ben allenati sono in grado di rimanere in soglia anaerobica per sforzi che superano il 90% del massimo consumo d’ossigeno.

C’è spesso confusione fra massimo consumo d’ossigeno e la sua percentuale di utilizzazione: dire che un atleta d’élite ha valori di VO2max che arrivano fino all’85% è errato perché il VO2max non è una percentuale (si esprime in ml/kg/min millilitri per kg di peso al minuto). In realtà si vuole dire che per questi atleti la percentuale di utilizzazione, per esempio sulla maratona, arriva all’85%.

VO2max e gare di fondo – L’esempio tipico è rappresentato dalla maratona. Si ha produzione di lattato dalla glicolisi, ma la concentrazione (circa 2 mmol/l) del lattato rimane costante perché il lattato prodotto è uguale a quello smaltito. L’atleta sta lavorando a circa il 70% del massimo consumo di ossigeno (soglia aerobica).

VO2max e gare di mezzofondo prolungato – A seconda dell’allenamento dell’atleta è una gara che può durare da qualche decina di minuti a un’ora. L’atleta usa il meccanismo glicolitico e il contributo dei lipidi è trascurabile. Il lattato aumenta la sua concentrazione fino a 4 mmol/l, poi, pur proseguendo lo sforzo, non aumenta. L’atleta sta lavorando a circa l’80% del massimo consumo d’ossigeno (soglia anaerobica)

VO2max e gare di mezzofondo – Quando la velocità aumenta ancora (come nei 10000 m o nei 5000 m) e si supera l’80% del massimo consumo d’ossigeno il meccanismo glicolitico non è in grado di smaltire completamente il lattato prodotto che sale sopra al livello della soglia anaerobica e tocca il massimo all’arrivo nei muscoli e qualche minuto dopo nel sangue (ovviamente se l’atleta ha corso ad andatura uniforme a livelli da record personale).

VO2max e allenamento – L’allenamento permette di aumentare la percentuale del massimo volume di ossigeno (cioè l’intensità dello sforzo) alla quale si forma l’acido lattico: per un soggetto non allenato è circa il 55%, mentre per un soggetto allenato è il 75-80%. Si deve inoltre rilevare che i valori di 2 e 4 mmol/l sono del tutto convenzionali, potendo variare da atleta ad atleta: ciò che è importante è comprendere il concetto che portano con sé, cioè l’esistenza di un intervallo dove, mantenendo lo sforzo costante, la concentrazione di lattato non varia.

VO2max e scarpe – In generale, 100 g di peso sulle scarpe aumentano il massimo consumo di ossigeno dell’1%; tradotto in secondi, se l’atleta sta andando all’80% del proprio massimo consumo d’ossigeno, si può stimare una perdita di 1-2”/km a seconda della velocità tenuta; a prescindere da questi calcoli, che per essere precisi dovrebbero tener conto del caso individuale (atleta e scarpa usata), è fuor di dubbio che convenga sempre scegliere la scarpa più leggera che in gara e nel post-gara dia i minori problemi.

VO2max e sistema respiratorio – Contrariamente a quanto pensa la maggior parte dei runner, non esiste una differenza significativa negli indici funzionali respiratori fra atleti di fondo e soggetti normali. Per amor di precisione devo osservare che alcuni studi hanno messo in evidenza che in atleti molto allenati per sforzi vicini al massimo consumo d’ossigeno (cioè molto intensi) non c’è una completa arterializzazione del sangue venoso, cioè la ventilazione polmonare limita la massima potenza aerobica. Ciò però sembra più una conseguenza dell’allenamento dei sistemi cardiovascolare e muscolare, spinti alle massime prestazioni, piuttosto che un cattivo adattamento di quello respiratorio che sostanzialmente con l’allenamento “resta quello che è”.

VO2max e cuore – Poiché, come visto, la funzione respiratoria non ha incidenza sulle prestazioni, il massimo consumo d’ossigeno (che dipende dal fabbisogno energetico e quindi dal flusso di sangue nei tessuti interessati allo sforzo) dipende dalla gittata cardiaca (che esprime la massima capacità di trasporto dell’ossigeno ai tessuti). Poiché, però, il consumo d’ossigeno nel passare dalla condizione di riposo a quella di massimo consumo aumenta di 10 volte, mentre la gittata cardiaca aumenta di 4 volte (da 5 a 20 in un sedentario) deve esistere un altro fattore legato al massimo consumo d’ossigeno. Tale fattore è la differenza arterovenosa, cioè la differenza di ossigeno contenuta nel sangue arterioso e in quello venoso che rappresenta l’ossigeno ceduto ai tessuti. In 100 ml di sangue arterioso sono contenuti 20 ml d’ossigeno, mentre in quello venoso 15, cioè in condizioni di riposo 5 ml vengono ceduti ai tessuti. All’aumentare dello sforzo, e quindi del consumo d’ossigeno, aumenta la differenza e si arriva a circa 17 ml in condizioni di massimo consumo d’ossigeno e in soggetti allenati. Tale dato è medio e potrebbe essere superiore riuscendo a interessare principalmente i muscoli coinvolti nello sforzo. Si deve comunque notare che non c’è differenza fra campioni e soggetti semplicemente allenati. Ricapitolando:

il massimo consumo d’ossigeno dipende dalla gittata cardiaca massima e dalla massima differenza arterovenosa.

È noto a tutti i runner che l’allenamento produce modificazioni al sistema cardiovascolare. In particolare, l’allenamento aerobico aumenta la capillarizzazione dei muscoli allenati (con aumento della differenza arterovenosa di circa il 15%); aumenta anche la gittata cardiaca perché, pur diminuendo la frequenza cardiaca a riposo, aumenta di molto la gittata sistolica. Tale aumento è ottenuto con l’aumento del volume del cuore in seguito all’allenamento (anche del 25%); è da notare che il massimo consumo d’ossigeno in genere aumenta prima per effetto della maggior capillarizzazione e di altri fattori (maggior capacità ossidativa dei muscoli) rispetto all’aumento dovuto alla maggior gittata sistolica. Infatti, nell’atleta l’ipertrofia cardiaca non è immediata, anche perché in genere non è permanente (riducendo cioè gli allenamenti tende a scomparire). È fondamentale sottolineare che esistono due tipi di ipertrofia: quella eccentrica, in cui aumentano le dimensioni delle cavità cardiache, e quella concentrica, in cui aumentano le dimensioni delle pareti. La prima è indotta da allenamenti di resistenza (dovendo fornire a lungo un gittata cardiaca elevata), mentre la seconda da allenamenti di forza (dovendo fronteggiare un aumento della pressione); quest’ultima non aumenta significativamente la gittata sistolica. L’allenatore di giovani atleti deve pertanto valutare se dirigerli verso il mezzofondo (800 e 1500 m) o verso il fondo perché gli allenamenti tipici dei mezzofondisti veloci (ripetute brevi, ripetute su salite corte ecc.) possono indurre un’ipertrofia concentrica che ovviamente non è utile nell’ottica di competere su lunghe distanze.

VO2max e deallenamento – In particolare si è visto che in soggetti allenati, mantenendo invariata la frequenza d’allenamento:

a) con la riduzione della durata dell’allenamento non si riduce il massimo consumo d’ossigeno;

b) con la riduzione dell’intensità si riduce il massimo consumo d’ossigeno.

VO2max ed età – Molti studi effettuati prima del 1990 arrivavano a conclusioni piuttosto pessimistiche circa la diminuzione della capacità aerobica con l’età (massimo consumo d’ossigeno) e dell’efficienza cardiaca (ricordo la vecchia e superata formula della FCmax=220–età). Il limite principale di tali studi è che non tenevano nel giusto conto il fatto che:

gli effetti dell’invecchiamento sono meno sensibili con l’attività sportiva e con l’alimentazione corretta.

Massimo consumo d’ossigeno: da cosa dipende?

È decisamente interessante capire quali sono i fattori che possono influenzare il valore del massimo consumo d’ossigeno. Come accennato nel paragrafo precedente, tale valore viene generalmente stimato in laboratorio facendo correre il soggetto su un ergometro trasportatore, variando opportunamente inclinazione, velocità e durata del test. Tuttavia è stato osservato che i valori misurati in laboratorio non necessariamente coincidono con il massimo consumo d’ossigeno del soggetto impegnato nello sport praticato. Questo è spiegabile con il primo elemento fondamentale che influenza il VO2max, i muscoli usati.

Differenti masse muscolari impiegate – Oltre alla corsa su ergometro trasportatore, si può impegnare il soggetto nella salita e discesa dalla panca, oppure farlo pedalare su cicloergometro o lavorare a un ergometro a braccia. In questi esperimenti si è visto che il valore di massimo consumo d’ossigeno ottenuto con la corsa su ergometro è più alto rispetto a quello misurato su cicloergometro o sull’ergometro a braccia. La differenza di valori può essere anche significativa, arrivando a uno scostamento anche del 30%. Questa differenza si riduce e annulla per i soggetti allenati: per esempio, i campioni di nuoto raggiungono valori di VO2max sostanzialmente analoghi se impegnati nella nuotata o nella corsa su ergometro, e lo stesso risultato si ha per i ciclisti professionisti e i marciatori. In tutti questi casi comunque,

la misura del VO2max risulta specifica del tipo di esercizio fisico effettuato durante la misurazione e dei muscoli coinvolti. Questa dipendenza risulta meno evidente nei soggetti molto allenati.

Grado dell’allenamento – Come sottolineato nel punto precedente, l’allenamento può uniformare le misure effettuate in laboratorio con quelle eseguite durante la pratica effettiva dello sport. Inoltre è intuitivo concludere che l’allenamento induce anche un aumento del massimo consumo d’ossigeno, essendo quest’ultimo correlato con la potenza aerobica. L’aumento può variare tra il 5% e il 20%. Affinché si abbia un miglioramento sensibile è necessario che l’allenamento coinvolga le masse muscolari specifiche e che comporti anche un sovraccarico per il sistema cardiovascolare [1].

Sesso – Nelle donne il valore di VO2max è in media inferiore rispetto agli uomini, di una percentuale compresa tra il 15 e il 30% (per soggetti non allenati) e scende al 15-20% per atlete allenate. Uno dei motivi potrebbe essere la differente composizione corporea, in particolare la maggior massa grassa delle donne. Questo aspetto è particolarmente evidente nelle donne sedentarie, ove la percentuale di massa grassa media raggiunge il 26%, contro il 15% tra gli uomini sedentari. La differenza legata al sesso si riduce passando nella popolazione di soggetti atleti allenati, per i quali il divario tra la percentuale di massa grassa uomo-donna diminuisce, anche se non si annulla. Per tener conto della diversa composizione corporea, oltre al valore assoluto di VO2max misurato in litri al minuto (L min-1), potrebbe essere significativo calcolare il valore relativo di VO2max, normalizzato per unità di massa (mL kg-1 min-1). Considerando il valore di massimo consumo d’ossigeno normalizzato, le differenze tra uomo e donna si riducono, anche se non si annullano del tutto come ci si potrebbe aspettare. Infatti, un altro motivo che differenza i sessi in relazione al massimo consumo d’ossigeno è la maggior concentrazione di emoglobina (10-14% in più) negli uomini, dovuta a sua volta a valori più elevati ditestosterone. Questo aspetto suggerisce che il sistema circolatorio degli uomini abbia maggior capacità di trasporto dell’ossigeno rispetto a quello delle donne e, conseguentemente, possa erogare una maggior capacità aerobica, alla quale il valore di VO2max è correlato. Valori di massimo consumo d’ossigeno sono stati anche normalizzati in base alla sola massa magra, con una ulteriore diminuzione del divario uomo-donna. Infine, misurando la VO2max con un ergometro a braccia e normalizzando i valori ottenuti alle dimensioni di braccia e spalle, i valori ottenuti sono sostanzialmente analoghi, senza nessuna differenza tra i due sessi.

Età – L’andamento del massimo consumo d’ossigeno assoluto in funzione dell’età è interessante, anche per mettere in evidenza le differenze evolutive tra maschi e femmine [2]. Fino a 12 anni, i valori di VO2max tra bambini e bambine sono sostanzialmente uguali. Nei due anni successivi, i bambini sviluppano già un massimo consumo d’ossigeno superiore del 25% rispetto a quello delle bambine, e il divario diventa massimo (50%) all’età di 16 anni. Se invece si confronta il valore di massimo consumo d’ossigeno normalizzato per unità di massa, si scopre che i maschi presentano un valore costante (dell’ordine di 50 mL kg-1 min-1) fino a 16 anni, mentre per le bambine si ha una diminuzione lineare. Tuttavia, normalizzando il dato su unità di massa corporea, il divario tra adolescenti (a 16 anni) maschi e femmine si riduce a circa il 30% (contro il 50% del valore di VO2max assoluta). Per gli adulti invece l’andamento è assai simile tra uomo e donna, con il passare del tempo. Il massimo si raggiunge intorno ai 20 anni, quindi si ha una diminuzione di circa l’1% all’anno. Questa diminuzione è meno marcata nei soggetti allenati, per cui si pensa che

l’allenamento contribuisca a mantenere valori di VO2max che, a parità di età, risultano sempre maggiori nella popolazioni di atleti rispetto a quella dei sedentari.

Genetica – Poiché le differenze tra i vari individui in termini di massimo consumo d’ossigeno sono molto evidenti, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi di una fattore legato all’ereditarietà. A questo scopo sono stati studiate popolazioni di gemelli omozigoti ed eterozigoti, anche se ricerche diverse hanno ottenuto valori notevolmente differenti. In una ricerca abbastanza datata (1971-1973, [3]), Klissouras ha concluso che la genetica determina per il 93% le differenze tra individui in termini di massimo consumo d’ossigeno, mentre la massima frequenza cardiaca dipendeva per l’86% da fattori ereditari. Questi dati così eclatanti sono stati ridimensionati da studi più recenti [4], dai quali attualmente si ritiene che

il fattore ereditario possa influire per circa il 10-30% sui valori di massimo consumo d’ossigeno dei soggetti.

Frequenza cardiaca e massimo consumo d’ossigeno

Nel nostro articolo Dimagrimento e frequenza cardiaca, al paragrafo Funzione cardiaca e spesa energetica, abbiamo visto che la spesa energetica può essere correlata solo grossolanamente alla frequenza cardiaca. Ciò è vero anche per il massimo consumo d’ossigeno.

Come già ribadito, per stimare il massimo consumo d’ossigeno è possibile effettuare semplici test in laboratorio facendo correre il soggetto su un ergometro trasportatore e facendo sostenere uno sforzo fisico di intensità bassa-media. Partendo dal fatto che

esiste una relazione lineare tra frequenza cardiaca e consumo d’ossigeno,

è possibile estrapolare e stimare il massimo consumo d’ossigeno del soggetto (VO2max) misurando durante il test all’ergometro la frequenza cardiaca. Generalmente le misure vengono fatte successivamente per carichi crescenti di lavoro, sempre di tipo submassimale. Sono sufficienti quattro o cinque misure di coppie di valori (frequenza cardiaca, consumo d’ossigeno) per tracciare con precisione la curva approssimante la retta che lega i due parametri e stimare il valore di VO2max. Se il soggetto è allenato, a parità frequenza cardiaca il consumo d’ossigeno è maggiore rispetto a quello di un soggetto non allenato. Assumendo una frequenza cardiaca massima Fmax, in prima approssimazione dipendente dall’età del soggetto, è possibile quindi utilizzare la retta ottenuta dalle stime sperimentali per calcolare il valore di VO2max corrispondente a Fmax. Questo metodo molto semplice però ha tre limiti di applicabilità:

  • la frequenza cardiaca varia giornalmente – È stato stimato, a parità di carico di lavoro, una variazione di circa 5 battiti al minuto, in positivo o in negativo, a seconda dell’istante della giornata.
  • La validità della dipendenza lineare – Frequenza cardiaca e consumo di ossigeno variano linearmente solo in un intervallo limitato di carico di lavoro. Se il carico di lavoro diventa troppo elevato, si perde la linearità, ovvero a piccoli aumenti della frequenza cardiaca corrisponde una variazione notevole del consumo d’ossigeno. Continuando a lavorare nell’ipotesi di dipendenza lineare si commette un errore che porta a sottostimare il VO2max risultante.
  • Stima dell’estremo dell’intervallo di calcolo – Cambiando il valore di Fmax, si ottiene, per lo stesso soggetto e la stessa curva, un valore di VO2max differente. Ciò significa che la stima della massima frequenza cardiaca del soggetto è fondamentale, ma questa è valutabile con un errore di circa ±10 battiti. A seconda dell’errore positivo o negativo compiuto nella stima di Fmax, si ottiene una sovrastima o sottostima del valore di VO2max. Inoltre, le misure sperimentali non possono prescindere dall’età del soggetto, dal momento che questo dato è strettamente correlato con la diminuzione di Fmax.

Se invece di misurare il consumo d’ossigeno si procede a una sua stima, ciò può portare a un errore notevole compiuto sul calcolo di VO2 max a partire da Fmax. Infatti, assumendo di conoscere il consumo d’ossigeno del soggetto in corrispondenza ai vari carichi submassimali, si deve fare attenzione che il costo energetico sia sempre costante durante l’esercizio. Infatti, se così non fosse, il consumo d’ossigeno verrebbe a dipendere dal rendimento del soggetto. Il rendimento a sua volta dipende dal tipo di esercizio, e può variare di circa il 10% per la salita e discesa dal gradino o del 6% per la pedalata su cicloergometro. Il rendimento inoltre può dipendere dall’abitudine del soggetto a compiere il movimento dell’esercizio e da varianti nell’esecuzione dello stesso.

Quindi? – A oggi i dati sperimentali (che così affascinano molti amatori) sono decisamente approssimativi, anche se ottenuti con strumentazione sofisticata, soprattutto se ottenuti con protocolli standard (leggi: veloce test uguale per tutti) e non possono assolutamente sostituire i riscontri del campo.

Il calcolo del massimo consumo di ossigeno

Il modo più semplice di calcolare il massimo consumo di ossigeno è quello di di eseguire iltest dei 7′. Dal dato del test con una semplice formula si ricava il VO2max.

Come si può aumentare il massimo consumo d’ossigeno?

Da quanto fin qui esposto si dovrebbe aver compreso che il massimo consumo d’ossigeno ha importanza massima in tutte le gare di mezzofondo, ma soprattutto in quelle di mezzofondo veloce (dai 3000 ai 10000 m).

Per distanze più lunghe (mezza maratona e maratona), il VO2max è meno importante perché diventa fondamentale anche la percentuale di VO2max a cui inizia ad accumularsi acido lattico. Alcuni grandi maratoneti del passato (come Frank Shorter) avevano bassi valori di VO2max (confrontati con quelli di altri campioni), ma erano in grado di lavorare a percentuali molto maggiori dei loro colleghi per tempi molto lunghi.

Per chi si dedica alle classiche gare su strada di 8-12 km è perciò fondamentale incrementare il proprio VO2max.

Poiché i parametri che influenzano il VO2max sono la gittata cardiaca e la differenza artero-venosa, occorre considerare i mezzi che incrementano queste due grandezze.

L’incremento non può prescindere dalle condizioni di partenza del soggetto.

Sedentari e jogger – Un buon metodo è quello di aumentare il chilometraggio settimanale (il lento migliora la capillarizzazione e la differenza artero-venosa); questo è il sistema più semplice, soprattutto per il jogger o per chi non ha ancora espresso il suo reale potenziale. Il fondo lento aumenta anche la dimensione della cavità cardiaca aumentando la gittata cardiaca a parità di potere contrattile del cuore.

Runner e agonisti – Quando si è acquisita una buona base aerobica, fare un numero ancora maggiore di chilometri serve percentualmente a poco. Bisogna allora lavorare sul secondo parametro che influenza il VO2max, la gittata cardiaca.

Un primo metodo è di inserire ripetute lunghe (con recupero di corsa da 500-1000 m) coerenti con la gara che si sta preparando. Per esempio, per un 10000 m si può usare una seduta di 4×2000 m a RG (ritmo gara) con 1000 m di recupero a ritmo di fondo lento. Questo metodo migliora il VO2max e inoltre predispone al ritmo gara, sia psicologicamente sia fisiologicamente.

Però, ricordando la definizione e il fatto che il VO2max si ottiene per uno sforzo massimale di circa 7′, è chiaro che la velocità proposta in quelle ripetute non è proprio ottimale, risultando un po’ lenta.

L’allenamento ideale per il VO2max

In base a quanto detto, già diversi anni fa (2004) proposi questo allenamento:

a) l’atleta determina la velocità massima che riesce a tenere per 7′. Supponiamo 4′/km.

b) L’atleta confeziona una serie di ripetute (da 500 a 1000 m) a tale velocità, inserendo un recupero di corsa di circa 4′-5′ al ritmo del fondo lento.

La lunghezza del tratto veloce deve essere tale da consentire di eseguire 6-8 ripetute per i più allenati e 3-4 per i principianti e per i meno allenati. La lunghezza del tratto lento tipicamente può essere fissata in un chilometro.

Non ha pregio correre meno prove veloci a un ritmo superiore. Meglio 6 prove a 3’20″/km che 4 prove a 3’10″/km. Infatti, una volta definita la velocità corrispondente al VO2max, andare più forte significa solo toccare altre grandezze fisiologiche. Questo tipo di allenamento è molto impegnativo e non dovrebbe essere usato che una volta alla settimana e non essere inserito nelle settimane in cui si ha anche una gara domenicale.

La conferma – La conferma di quanto detto sopra è arrivata da una ricerca norvegese dell’università di Trondheim, ricerca coordinata da Jan Helgerud (2007). Essa ha confrontato quattro gruppi di 10 studenti, sportivi praticanti, ma non agonisti:

  • età media: 26,2 anni
  • Altezza: 180,5 cm
  • Peso: 82,1 kg
  • VO2max: 58,5 mL/(kg*min).

Due mesi di allenamento 3 volte alla settimana con uno di questi programmi (uno per gruppo):

  1. 45′ di corsa lenta al 70% della frequenza cardiaca massima (FCmax)
  2. 25′ di corsa alla velocità della soglia anaerobica, ovvero all’85% della FCmax
  3. 47 ripetizioni di 15″ al 90-95% della FCmax con 15″ di corsa lenta al 70% della FCmax
  4. 4×4′ al 90-95% della FCmax con recupero 3′ di corsa lenta al 70% della FCmax.

I risultati principali di quella ricerca sono stati questi:

  • VO2max: nei primi due gruppi nessun miglioramento; nel terzo del 5,5% e nel quarto del 7,2%.
  • Soglia anerobica: migliorata in tutti e quattro i gruppi con una media del 9,6%, da un minimo dell’8,2% (primo gruppo) a un massimo dell’11,6% (secondo gruppo).
  • Gittata pulsatoria (sistolica): nel quarto gruppo è migliorata del 13,1% e nel terzo del 9,9%.

Le considerazioni sono molto valide per i giochi di squadra, meno per i runner in generale. Infatti:

  • gli atleti coinvolti non erano certo runner, basta vedere il rapporto peso/altezza; appaiono più calciatori, nei quali il rapporto peso/altezza sfavorevole non consente grossi benefici dalla corsa lenta. Infatti, per reggerla, il soggetto deve andare troppo piano (in genere si va al 75% della FCmax).
  • Statisticamente parlando, una ricerca con gruppi di dieci soggetti non è molto significativa. Fra l’altro, i soggetti non sono molto rappresentativi della popolazione perché partivano da alti valori di VO2max e bassi valori di soglia (addirittura inferiori a 10 km/h); ciò vuol dire che si trattava di sportivi molto dotati, ma pochissimo allenati alla corsa di resistenza.
  • Il risultato sulla gittata pulsatoria è dubbio: se aumenta del 13,1% e il VO2max solo del 7,2% vuol dire che la differenza artero-venosa è diminuita; ciò è logico visto che manca la corsa lenta, ma allora il miglior risultato sul VO2max si ottiene con il connubio di corsa lenta (4 allenamenti settimanali) e di ripetute (2 sedute settimanali) opportunamente confezionate. Se poi si aggiunge che è importante mantenere anche la soglia anaerobica, ecco che si ritorna a ciò che si sa già, cioè che con 6 allenamenti alla settimana si ottiene il massimo con 3 lenti, un medio e due sedute di ripetute.

Bibliografia

[1] R. C. Hickson et al: Time course of the adaptive responses of aerobic power and heart rate to training, Med. Sci. Sports Exerc., pagg. 13-17, 1981.

[2] G. S. Krahenbuhl: Developmental aspect of maximal aerobic power in children, in Exercise and Sport Science Reviews, vol.13, Macmillan, New York, 1985.

[3] V. Klissouras: Adaptation to maximal effort: genetics and age, J. Applied Physiology, pagg. 35-288, 1973.

[4] L. Perusse e C. Bouchard: Heredity, Activity level, Fitness and Health, in Physical Activity, Fitness and Health, Champaign, IL, USA, Human Kinetics, 1994.


LA MAIL

Sebastiano mi chiede se è possibile superare in alcuni casi la velocità corrispondente al 100% del massimo consumo di ossigeno.

Prima di rispondere, ho lasciato tre giorni ai visitatori più assidui per pensare alla risposta. È possibile? Se no, perché?

 

Ho usato la domanda di Sebastiano (che era un po’ più articolata) per verificare se non fossi spesso troppo ripetitivo nella proposta dei concetti di base di alimentazione, corsa, psicologia ecc. Le risposte pervenute (34) mi hanno convinto di no.

Esiste una fondamentale differenza fraconoscere e sapere. Conoscere tante informazioni può non essere utile se poi non si “sanno” legare le une alle altre e da quelle conosciute non si “sanno” dedurne delle nuove. Conoscere è cioè un concetto statico mentre sapere è dinamico, più consapevole.

Il test è anche una dimostrazione di come si possa facilmente confondere chi ascolta. Il trucco per confondere (e quindi far credere ciò che si vuole) è di distrarre chi conosce (ma non sa) dalla vera e unica domanda; è il vecchio trucco del prestigiatore che distrae il pubblico dalla sua manipolazione con parole, gesti, effetti scenici.

Nel test si incominciava con una distrazione che è implicita in un termine usato: se il consumo d’ossigeno è “massimo”, come si può superare? Questo è alla base del ragionamento di molte mail. Queste mail si basavano anche sul fatto che molto spesso si parla del 75%, dell’80% del VO2max. Nessuno ha mai sentito parlare del 110% di VO2max.

Questo è il sunto di una mail “sperimentale” (“se nessuno ne parla vuol dire che non è possibile”). Quindi la seconda distrazione è rappresentata dal fatto che si propone qualcosa che è “inconsciamente” al di fuori della nostra esperienza.

La terza distrazione è nel titolo: “oltre il 100% del massimo consumo di ossigeno”. Notate come “oltre” sia del tutto generico e fuorviante: ognuno può interpretarlo come gli sembra più logico. Infatti una buona parte delle mail si è bloccata qui è ha stabilito che “oltre il 100% non si può andare” perché è già nella definizione (?): come posso superare il 100% di una grandezza fisiologica? Quindi l’oltre è di troppo e la risposta è NO!

Gli autori delle 34 mail giunte non sono arrivati alla domanda di Sebastiano!!! Si sono fermati prima e si sono confusi…(tranne Vincenzo, Simo71, Giò, Silvio -che sia lui???- che mi hanno salvato dal suicidio).

Bastava focalizzare la domanda: è possibile superare in alcuni casi la velocità corrispondente al 100% del massimo consumo d’ossigeno?

La risposta è SÌ.

Il massimo consumo d’ossigeno esprime la massima potenza aerobica del soggetto; esistono però altri meccanismi energetici che consentono di produrre energia non aerobicamente (senza l’uso dell’ossigeno). Tali contributi si sommano a quello aerobico per cui per brevi tratti è possibile sostenere velocità maggiori di quelle che si sostengono con il SOLO uso del meccanismo aerobico. Comunemente non si parla mai di velocità eccedenti il 100% del massimo consumo d’ossigeno perché si parla di corsa di resistenza dove è importante mantenere la velocità per un periodo sufficientemente lungo. Con un’analogia cara ai fisiologi dello sport, lo sforzo aerobico è come lo stipendio mensile, mentre quello anaerobico (lattacido e alattacido) è come una piccola somma in banca, fissa. Se corro a lungo posso usare solo il mio stipendio per sostenermi e posso bruciare la piccola somma in banca nella volata finale o nell’allungo dell’ultimo km. Ma se faccio un breve tratto, con una follia posso spendere tutto e sommare al mio stipendio di quel mese la somma che ho in banca.

Uno dei test più usati per determinare il massimo consumo d’ossigeno è il test dei 7′: il massimo consumo d’ossigeno si raggiunge in una prova massimale che dura circa 7′. Quindi per tratti più brevi io sono in grado di tenere una velocità superiore al 100% del massimo consumo d’ossigeno (proprio perché uso il contributo dei meccanismi anaerobici).

Un’altra via per la risposta è questa. Se un maratoneta top riesce a correre una maratona all’85% del VO2max a circa 3’10″/km, vuol dire che la velocità corrispondente al 100% è circa 2’25″/km. Se si considera che un tale maratoneta vale almeno 12″ sui cento metri (ricordiamoci che gente come Gebrselassie sui cento vale meno di 11″), significa che è in grado di andare a 2′/km e si stabilisce immediatamente che è possibile superare la velocità corrispondente al 100% del massimo consumo d’ossigeno.

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