20 Maggio, 2024

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Alto è bello?

Alto è bello?

1888793_10152588693122805_4309555665702448754_oAlto è bello? Chi è molto alto può chiedersi in che misura la propria altezza influisca sulla prestazione fisica: se la risposta è scontata in particolari sport (pallacanestro, rugby, lanci), non è altrettanto chiara la relazione che intercorre tra la prestazione nella corsa e l’altezza di un atleta o, più in generale, altri parametri della taglia (superficie corporea, peso e rapporto tra i due). È usuale ascoltare telecronache di gare di atletica in pista in cui si dice che il tale atleta è sfavorito perché troppo alto rispetto agli avversari; in realtà questa affermazione è troppo semplicistica e gli studiosi hanno cercato di capire quale relazione intercorre tra alcuni aspetti della “taglia” di un individuo e la prestazione

fisica.

Prendendo l’altezza di un atleta come fattore di riferimento, si possono evidenziare le seguenti dipendenze [1]:

Caso 1: L’altezza è un vantaggio

Dipendenza dal quadrato dell’altezza – L’area della superficie corporea, la forza muscolare, la capacità anaerobica, la capacità di imprimere forza a un oggetto esterno (come per i lanciatori) dipendono dal quadrato dell’altezza, quindi sono tutte funzioni fisiologiche o parametri morfologici che aumentano molto più velocemente dell’altezza corporea.

Dipendenza dal cubo dell’altezza – Il peso corporeo, il volume sanguigno e polmonare e la capacità di compiere lavoro fisico dipendono invece dal cubo dell’altezza.

Per esempio, se si raddoppia l’altezza di un individuo, la sua superficie corporea quadruplica, mentre la massa diventa otto volte maggiore!

Queste due prime considerazioni confermano in modo quantitativo quanto spesso osservato nell’analisi delle caratteristiche fisiche del corpo degli atleti, ovvero che le taglie differenti si traducono in una diversa attitudine all’esecuzione di diversi movimenti atletici. In particolare, la forza isometrica è quella che maggiormente si avvantaggia di una taglia grande (maggiore altezza, maggiore peso corporeo e parametri fisiologici correlati alla forza).

Caso 2: l’altezza è uno svantaggio

In alcune circostanze l’altezza risulta un handicap, ovvero quando le funzioni fisiologiche mostrano una dipendenza dall’inverso dell’altezza. La capacità di accelerare il proprio corpo, di sollevare il proprio corpo e la corsa in salita sono i casi in cui l’altezza è uno svantaggio (più aumenta, più diminuiscono i fattori citati). Per questo motivo le taglie grandi sono uno svantaggio in quelle discipline in cui conta l’accelerazione o occorre sollevare il proprio peso (per es. la ginnastica artistica).

Caso 3: altezza ininfluente

Nel salto in lungo e nella corsa in pianura a velocità costante l’altezza è un fattore irrilevante. Paradossalmente gli autori dello studio del 1967 [1] giunsero alla conclusione che l’altezza è irrilevante anche nel caso del salto in alto; gli atleti alti si avvantaggiano nel salto in alto non tanto per una influenza diretta della taglia corporea sulle funzioni fisiologiche del gesto atletico, ma indirettamente, in quanto un atleta più alto ha il baricentro spostato più in alto e ciò avvantaggia la prestazione atletica.

Come si può vedere dalla casistica, per quanto riguarda la corsa,

solo nella corsa in salita o in quella condotta con brusche variazioni di velocità (frequenti accelerazioni) l’altezza è un fattore che influenza direttamente la prestazione in modo negativo (è uno svantaggio).

Volendo studiare quali sono le variabili fisiologiche più influenzate dal fisico dell’atleta, si può dire che la forza isometrica e la potenza anaerobica sono maggiormente influenzate dalla taglia fisica (in una percentuale compresa tra il 60 e l’80%). La capacità aerobica e la velocità di scatto invece dipendono in misura minore (intorno al 40%), mentre meno dipendenti dal fisico dell’atleta sono la capacità motoria e l’elasticità (20-30%) [2]. La differenza tra l’influenza della taglia fisica e questi parametri fisiologici è quasi costante tra uomini e donne. Nelle donne la dipendenza è sempre minore rispetto agli uomini, tranne in tre casi particolari, in cui le differenze di taglia sembrano pesare di più: la velocità di scatto, la capacità motoria e il salto in lungo.

Volendo studiare infine l’effetto di parametri antropometrici sulla predisposizione a determinare il successo di un atleta, uno studio del 1984 [3] ha evidenziato dodici fattori distinti, distinti in tre classi: la percentuale di grasso nelle varie parti del corpo (pliche sottocutanee), la lunghezza dei segmenti scheletrici (tronco e gambe)  e la circonferenza corporea e l’ampiezza delle ossa. Studiando questi fattori nei vari compartimenti del corpo (gambe, glutei, tronco, spalle, anche…), l’autore ha stilato una classifica della loro influenza nella prestazione sportiva. Dai dati si ricava che il tessuto adiposo influenza per il 31% la performance fisica, la lunghezza dei segmenti scheletrici per il 16% mentre la circonferenza di tronco e dei muscoli delle gambe per il 53%. Paradossalmente, tra i dodici parametri indipendenti isolati dallo studio, le dimensioni dei muscoli delle gambe influenzano la performance solo per il 7%: come dire che nella metà degli atleti (53%) la dimensione dei muscoli delle gambe conta, ma conta molto poco (al massimo 7% del risultato). Occorre però chiedersi quanto sia valido lo studio statistico e l’analisi discriminante dei fattori, in quanto lo studio si riferisce a 116 atleti di discipline differenti.

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